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La gravidanza è un tempo della vita in cui accadono notevoli trasformazioni sia nel corpo che nella mente di ogni donna.

La donna può vivere questo momento come foriero di grandi gioie ma anche come minaccia alla sua attuale esistenza; spesso queste due posizioni sono presenti entrambe in modo anche inconsapevole e danno vita a un’ambivalenza inconscia o latente del tutto lecita e normale.

Questo è un tempo il cui carico emotivo risulta essere così intenso, non solo perché è in arrivo una nuova vita, ma anche perché avviene nella donna un’organizzazione psichica nuova, che determinerà una nuova serie di desideri, azioni, sensibilità, fantasie, paure…Questa ri-organizzazione psichica è temporanea, la durata variabile, ma in questo periodo diventa la linea organizzativa dominante per la madre. 

In questo tempo sono tre gli interrogativi che vengono portati avanti internamente o esternamente dalla futura mamma: il tema della donna con sua madre, in particolare modo con la madre quando lei era bambina; il tema della donna con se stessa; il tema della donna con il suo bambino. Questa trilogia richiede una quantità enorme di lavoro e di rielaborazione psichica. Le domande collegate a queste tematiche sono: sarò in grado di garantire la vita e la crescita del mio bambino? Assicurerò lo sviluppo psichico del mio bambino nella direzione che io voglio? Sarò in grado di creare e permettere ai sistemi di supporto di adempiere alla loro funzione? Sarò in grado di trasformare la mia identità per permettere e facilitare queste funzioni?

Questo stato di cose mostra quanto complesso sia questo tempo della vita della donna e come sia opportuno aiutare la puerpera ad affrontare questo momento, con il giusto supporto non solo medico ma anche psicologico che la aiuti a vivere in modo integrato e consapevole aspetti sintonici e distonici che la gravidanza porta con sé, affinché questa esperienza non risulti persecutoria e ansiogena e possa essere, piuttosto, occasione per risignificare antichi legami o la stessa immagine di sé alla luce della nuova ri-organizzazione psichica.

Diverse sono le esperienze fisiche ed emotive relative ai tre trimestri di gravidanza vissute dalle future mamme, esperienze che, a partire dalla percezione fisica di cambiamenti relativi al corpo e alle sue funzioni, trovano un corrispettivo simbolico nel mondo interno e nel vissuto relazionale emotivo della partoriente. Da qui hanno origine tutte le paure e le ansie proprie di questo tempo che spesso sembrano trovare momentanea risposta nelle rassicurazioni mediche, ma che, poi, si rinnovano alla luce dei vissuti e delle emozioni che caratterizzano il funzionamento psicologico della gravida.

Particolare attenzione merita la sessualità in gravidanza, fattore importante non solo per il benessere della donna e della coppia in attesa ma, anche, per il significato simbolico che ritroviamo nel parto e durante l’allattamento. In letteratura è presente l’ipotesi che nel parto, proprio per le parti del corpo e per i meccanismi fisiologici coinvolti, emergano anche emozioni, ed eventuali paure, più strettamente legate alla sessualità. Il parto viene accostato al rapporto sessuale poiché entrambi presuppongono la capacità di “lasciarsi andare” alle sensazioni. Durante il coito la disponibilità a donarsi e a ricevere con gioia, ad andare verso il piacere è simile alla possibilità di permettere al proprio corpo di guidare l’andamento del travaglio e del parto, lasciando all’utero il compito di dilatarsi e al bambino quello di attraversare il canale vaginale. Si può intuire facilmente che se esistono difficoltà a “lasciarsi andare” queste produrranno un irrigidimento dei muscoli perineali e vaginali e una maggiore percezione di dolore. 

Sarebbe quindi opportuno aiutare le donne durante il periodo di  gravidanza ad avere una visione di sé più ampia rispetto ad un insieme di pratiche cliniche attraverso l’analisi delle loro percezioni e dei loro vissuti per permettere loro di assumere il futuro ruolo di donna, di compagna e di madre in modo  più consapevole.

Tutto questo e molto altro caratterizza l’esperienza della gravidanza di una donna ma il feto come vive questa fase? Quali sono le capacità di cui è già dotato? Che valore assume questo periodo per il futuro individuo e per il suo sviluppo? 

Feto, letteralmente “giovane”, così chiamiamo il nuovo essere a partire da circa otto settimane di vita. A discapito di chi, in passato, concepiva il feto solo da un punto di vista fisiologico come un essere essenzialmente passivo, grazie agli studi degli ultimi decenni, allo sviluppo della tecnologia degli ultrasuoni e ad una prospettiva nuova di tipo psico-biologico, emerge come il feto sia un essere attivo e responsivo. Ad esempio, il feto si allontana alla luce dello stetoscopio, risponde alla musica muovendosi in sincronia con il ritmo del pezzo (Sallenbach, 1993), sobbalza se toccato dall’ago dell’amniocentesi ma è anche in grado di muovere tutte le sue membra e si sposta attivamente per trovare una posizione più comoda.

Il feto è profondamente influenzato dell’ambiente in cui si trova, possiede ritmi propri, impara e interagisce. A questo proposito i molti studi di DeCasper e colleghi hanno documentato la capacità di discriminazione della voce materna non solo dei neonati ma ancora prima dei feti, a partire dal terzo trimestre, quando cominciano ad udire. L’esposizione alla voce materna, alla sua cadenza e perfino a specifici brani letti con costanza in gravidanza, influenza le preferenze del bambino nel periodo postnatale. In un interessante studio (De Casper, Lecanuet, Busnel e Mangeais, 1994) si è evidenziato come i feti siano in grado di riconoscere come familiare un testo recitato costantemente dalle madri in gravidanza distinguendolo da un testo nuovo, letto sempre dalle loro madri (il battito cardiaco dei feti decelerava quando sentivano il passo familiare).

La discriminazione prenatale della voce materna da altri segnali acustici, così come altri apprendimenti del feto, sono fondamentali per il successivo sviluppo del neonato. 

In questo caso l’apprendimento della voce materna, consente al bambino, subito dopo la nascita, di orientarsi verso sua madre, facilitando quindi l’apprendimento e il riconoscimento del suo volto e a sua volta andando a rinforzare la madre a interagire con lui.

Il feto, fin da subito inserito in un ambiente sociale, assume anche i gusti propri della cultura di appartenenza, ad esempio i neonati le cui madri in gravidanza hanno mangiato abitualmente aglio mostrano minore avversione verso di esso (Mannella et al, 2001). 

Non solo la madre, attraverso il suo stato umorale, influenza il feto ma anche lui, per garantirsi l’approvvigionamento delle sostanze nutritive, invia ormoni nel flusso sanguigno materno determinando nella donna sintomi di varia natura e gravità. 

Comincia così, fin da questa fase così precoce, quel mutuo scambio d’informazioni, bisogni e affetti tra madre e figlio/a, quella relazione che continuamente si modificherà nel tempo per trovare sempre un nuovo equilibrio. Come riportato nel precedente articolo, è da questo bisogno e da questa capacità innata dell’essere umano di relazione, di scambio e di mutua regolazione che si fonda quello che sarà uno dei legami più profondi e fondativi dell’individuo, il legame di attaccamento tra madre e figlio/a.

Marcella Romano, psicoterapeuta
Chiara Bertossi, psicologa

Aprile 28, 2016

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