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Quando essa viene considerata come maladattiva e su di essa viene posto il focus principale del nostro intervento, a prescindere dal significato che ha per l’individuo, allora come terapeuti abbiamo perso un’occasione e la capacità di capire il conflitto psicologico che ha modificato la condizione di base di quella persona. Tra le risposte possibili al dolore ha un grande rilievo “l’individuazione” che comporta un processo di rielaborazione dell’esperienza e quindi all’attivazione delle risorse e delle funzioni di cui la persona può disporre per stabilire il miglior adattamento possibile alla situazione che è cambiata.

Come psicoterapeuti dovremmo essere in grado di permettere che la persona possa star male e di provare il dolore conseguente alla discrepanza ideativa che sta vivendo. Intervenendo in maniera massiccia sul dolore, quando esso rimane entro una soglia tollerabile, rischiamo di impedire alla persona di elaborare quanto gli sta accadendo e di trovare soluzioni più consone alla diversa rappresentazione del Sé, all’origine della risposta depressiva.

Poco sopra ho posto l’attenzione sui “meccanismi di difesa” di cui l’individuo dispone per far fronte ad un conflitto psicologico che gli crea un particolare imbarazzo. Il concetto di difesa si riferisce alle soluzioni che vengono messe in atto dalla persona per evitare di vivere un dolore che essa sente insopportabile e sostanzialmente hanno una funzione adattiva costituendo lo sforzo messo in atto dall’individuo di fronte all’emergere di desideri che possono rappresentare una minaccia allo stato di omeostasi psichica (secondo la psicoanalisi, così come in fisiologia, l’apparato psichico funziona per mantenere uno stato costante che possiamo definire di tranquillità psico-biologica e interviene di fronte alle continue perturbazioni di quello stato) in quanto accompagnati da disturbanti sentimenti di angoscia o da minacce alla propria autostima. Come sostiene N. McWilliam ognuno utilizza delle difese preferenziali e che diventano parte integrante dello stile individuale di affrontare situazioni problematiche. Generalmente alcune difese vengono considerate più primitive di altre sulla base del fatto che esse implicano una più o meno marcata differenziazione dei confini del Sé col mondo esterno, mentre le difese più evolute sono intrapsichiche e implicano un conflitto fra le istanze interne dell’apparato psichico (arbitrariamente l’apparato psichico viene suddiviso in tre aree principali che sono l’Es, l’Io e il Super-Io che sono in corrispondenza dinamica fra di loro e la cui interazione determina i processi psichici che sono osservabili nell’individuo). Mentre le difese più regredite operano in modo globale e indifferenziato, le difese più evolute operano trasformazioni specifiche del pensiero, dei sentimenti, delle sensazioni, del comportamento o di loro combinazioni. Non mi sembra il caso che in questa sede faccia un’elencazione delle une o delle altre, ci basti sapere che le difese primitive sono prelogiche e preverbali, totalizzanti e magiche. Prendiamo il “ritiro primitivo” che si ha quando la persona si ritira nel proprio mondo fantastico di fronte a situazioni che sono per lui fonte di tensione. Se esso diviene abituale e porta ad escludere altre forme o risposte diverse alla tensione possiamo ritenere che sia probabile un’evoluzione in senso psicotico della persona. Oppure vediamo come nel diniego, che significa non riconoscere degli aspetti della realtà che possono produrre angoscia, se tale soluzione rappresenta quella a cui si fa principalmente ricorso, allora grandi pezzi di realtà vengono esclusi e resi non disponibili per l’individuo. Per capire come si formino le personalità psicopatiche osserviamo come tra le difese primitive che vengono maggiormente utilizzate il “controllo onnipotente” e quello che alimenta la sensazione di poter esercitare sugli altri la propria indiscussa influenza, interpretando le esperienze come frutto del proprio illimitato potere.

Per quanto riguarda l’uso dei meccanismi di difesa più evoluti bisogna ricordare che l’apparato psichico può usare in funzione di difesa qualsiasi processo psicologico e che non è di per sé l’uso di una particolare difesa che definisce una patologia, ma se essa è adattiva o disadattiva rispetto alla persona che la utilizza e la funzione che essa ha nell’economia psichica dell’individuo. Fra le difese più avanzate per far fronte agli impulsi disturbanti troviamo la rimozione, che per Freud rappresenta il prototipo di tutti gli altri processi difensivi e il cui massiccio uso definisce la personalità isterica, la regressione, la proiezione , che indica l’attribuire ad altri sentimenti o comportamenti che non riconosciamo come appartenenti a noi, l’isolamento che si ha quando l’aspetto affettivo di una esperienza viene separato dal suo contesto cognitivo, l’intellettualizzazione e la razionalizzazione, l’annullamento retroattivo che si ha quando un sentimento o una fantasia spiacevole viene resa non avvenuta, lo spostamento implica che una particolare pulsione venga diretta su qualcuno o qualcos’altro (si riscontra nelle fobie), la formazione reattiva per cui un atteggiamento ritenuto inappropriato viene trasformato nel suo contrario (nelle persone in cui un sentimento ostile si accompagna alla colpa, il sentimento si trasforma in eccessiva premura e attenzione per l’altro), il capovolgimento del Sé, per cui si modifica la propria posizione da soggetto ad oggetto o viceversa, alcune forme di identificazione (come l’identificazione con l’aggressore). Non mi dilungo oltre nella descrizione di questi processi se non per dire che ci sono delle difese tipiche che si possono riscontrare in una particolare psicopatologia e che tali difese divengano elettive e che implicano una risposta automatica e perentoria che si stabilisce ogni qualvolta l’individuo si trovi nella condizione di trovare una soluzione adattiva ai suoi conflitti.

dott. Luciano Rizzi, psicologo-psicoterapeuta

 

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Maggio 20, 2016

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