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La questione che ora mi pongo è che cosa possa interessare ai lettori questa ricerca bizantina su come funzioni l’apparato psichico, che ce ne facciamo di queste cose, a cosa servono? 

 Già dicevo di non voler trasformare questa rubrica in una dotta lezione, che alla fine diviene inservibile e lascia il tempo che trova. Si può però obiettare che molti concetti che noi osserviamo nella nostra pratica clinica, si possono riscontrare anche nelle comuni relazioni di ogni giorno e che quindi il volerli approfondire ci fornisce un punto di vista in più sui fatti quotidiani. 

Prendiamo ad esempio il concetto psicoanalitico di “traslazione” che indica come sulla persona dello psicoterapeuta possono essere rivissuti sentimenti e idee che costituiscono un “falso nesso” con una importante figura del passato del paziente. Sulla base di certe caratteristiche o ad altre qualità che appartengono alla persona del terapeuta capita che su di lui vengano rivissuti gli stessi affetti e si hanno le stesse reazioni che si sono vissute nella relazione con qualcuno che è stato significativo nel passato.

Freud le definisce in questo modo: 

Che cosa sono le traslazioni? Sono riedizioni, copie degli impulsi e delle fantasie che devono essere risvegliati e resi coscienti durante il progresso dell’analisi, in cui però – e questo è il loro carattere peculiare – a una persona della storia precedente viene sostituita la persona del medico. In altri termini un gran numero di esperienze psichiche precedenti riprendono vita, non però come stato passato, ma come relazione attuale con la persona del medico.” (1901b)

In altri termini si provano sentimenti, fantasie, atteggiamenti e ci si difende verso una persona del presente, ma il falso nesso consiste nel fatto che sia inappropriato risperimentare questi affetti nei riguardi della persona sulla quale vengono diretti. 

In tutte le relazioni agiscono elementi traslativi e l’accettazione o il rifiuto di essi non dipende da elementi consci, ma piuttosto su indicazioni inconsce ed i rapporti in generale sono spesso determinati da qualche caratteristica dell’altro che ripropone degli attributi di una figura significativa del passato. La persona può rifiutarne il ruolo oppure, se ne ha una inconscia predisposizione, integrarlo nel suo comportamento ed agire di conseguenza.

Ma perché tendiamo a riprodurre questi elementi traslativi basandoci esclusivamente su delle appercezioni (le appercezioni si distinguono dalle percezioni per il loro evidente carattere di irrealtà e si stabiliscono con il determinante contributo di motivazioni inconsce)? Tutti noi abbiamo la necessità di ritrovare il nostro ambiente fenomenico, quello che abbiamo conosciuto e quello entro il quale abbiamo stabilito i nostri adattamenti. Ciascun individuo vive all’interno di un ambiente fenomenico che, per ciascuno, è un poco diverso e in un certo senso personale, che non può essere considerato identico all’ambiente fisico, ma che rispetto ad esso presenta numerose differenze. 

Il nostro ambiente fenomenico dentro il quale noi viviamo ed entro il quale noi agiamo è caratterizzato da “valenze”, vale a dire che le cose, le persone, le situazioni o le attività possono per noi avere una valenza positiva (per cui allora sentiamo il desiderio di possedere un certo oggetto, di stare con una certa persona, di trovarci in una certa situazione o di svolgere una particolare attività) o, al contrario, possono avere una valenza negativa per cui le respingiamo (ci teniamo lontani da certi oggetti, non desideriamo incontrare certe persone, stiamo fuori da quelle situazioni o non intraprendiamo una certa attività). Non va trascurato il fatto che le persone o le situazioni o gli oggetti possono anche avere una doppia valenza, insieme positiva e negativa, ovvero un’ambivalenza, per cui qualcosa di desiderato è vissuto anche con paura, per cui respinto (pensiamo al bambino che desidera accarezzare un cane ma ne ha nel contempo paura per cui si tiene ad una certa distanza da esso).

In quali casi possiamo qualificare certi rapporti come rapporti affettivi e quali ne sono le proprietà specifiche? Adoperiamo questa espressione per il luogo nel quale siamo cresciuti o per certi oggetti che possediamo, oppure per certi animali, o per certe persone che hanno per noi una valenza positiva e che in qualche modo rappresentano un prolungamento della nostra personalità, come una parte di noi stessi che se andasse perduto porterebbe con sé una certa parte di noi, delle nostre esperienze e dei nostri ricordi, la cui scomparsa verrebbe sentita come una diminuzione più o meno profonda e duratura della nostra personalità. Il bambino nasce in una naturale condizione di bisogno e per la sua stessa sussistenza ha bisogno di figure che si prendano cura di cui e ne soddisfino le naturali necessità di crescita e di sviluppo. Su queste stesse figure, dapprima in modo indistinto e via via differenziandone la presenza, il bambino impara a riconoscerle e a provare un sentimento di fiduciosa attesa che quella persona saprà proteggerla e l’aiuterà a sviluppare il suo ambiente psicologico, inteso come quello spazio in cui si può sviluppare la sua individuazione come essere separato e capace. 

Prendere in considerazione lo sviluppo affettivo significa, quindi, stabilire quali siano le persone, le cose o i luoghi nei cui confronti facciamo un duraturo investimento legato a questa primitiva condizione di bisogno e che contribuiscono ad ampliare il nostro spazio di libero movimento. La persona che più di ogni altra può favorire questi processi di sviluppo, ed aiutare così il bambino ad ampliare il suo ambiente psicologico, favorendo quindi anche lo sviluppo di un rapporto affettivo, è la figura materna. Tale figura provvede innanzitutto a fornire al bambino il nutrimento fisico di cui egli ha bisogno, ma tale persona contribuisce in modo decisivo a sviluppare in lui un sentimento di sicurezza, intervenendo tutte le volte che il bambino viene a trovarsi in una situazione disagevole (fame, freddo, dolore fisico, incapacità di entrare in possesso di un certo oggetto, o di compiere su un certo oggetto una certa operazione, stato di paura davanti ad un forte rumore o all’apparizione di una persona sconosciuta, ecc.), integrando così le capacità del bambino con le proprie capacità, costituendo un prolungamento della persona del bambino, vale a dire qualcosa che è sempre a disposizione del bambino e gli rende più facile il superamento di certe difficoltà. Lo sviluppo del proprio ambiente psicologico, in una situazione ottimale, si verifica nel senso di una graduale conquista dell’autonomia, e lo sviluppo affettivo si verifica nel senso del costituirsi di un sistema di rapporti affettivi sempre più complessi, che non investono più soltanto la persona della madre, ma anche quella del padre, dei fratelli o di altri eventuali membri della famiglia. 

Si viene così a creare uno spazio interno, che è essenzialmente un ambiente affettivo nel quale il bambino impara a conoscere ed a collocare ogni evento che gli accade, a prevederne le conseguenze e a sentirsi sufficientemente protetto e rassicurato nel loro svolgersi. Gli autori che maggiormente hanno posto l’attenzione sugli affetti quali misuratori o segnalatori dello stato interno sono stati Joseph e Anne-Marie Sandler, per i quali la “parte giocata dall’esperienza affettiva” nello sviluppo delle relazioni oggettuali è determinante. Un’esperienza che non faccia riferimento alle emozioni coinvolte non ha nessun significato per l’individuo. Essi tracciano una linea evolutiva per quanto riguarda lo sviluppo degli stati affettivi, dalla considerazione che i due stati affettivi di base sono le esperienze piacevoli, gratificanti e confortevoli, contrapposte alle esperienze dolorose e spiacevoli. Dalle risposte soggettive a questi stati emotivi si vanno a strutturare delle rappresentazioni sempre più legate alle persone oggetto delle esperienze di piacere e dispiacere.

“Sosteniamo l’idea che il principio fondamentale di guida e di regolazione nell’adattamento dal punto di vista psicologico si basi sui sentimenti.” (J. Sandler – 1968).

I sentimenti, per quanto tenui, accompagnano qualsiasi contenuto d’idea e tutti i comportamenti adattivi sono regolati dal bisogno di raggiungere o mantenere un livello minimo di sentimento di sicurezza all’interno dell’apparato psichico e di evitare o diminuire l’angoscia o i sentimenti di disorganizzazione della persona, che producono un effetto negativo sui sentimenti di sicurezza e di benessere. 

Fra tutti i sentimenti, quello della sicurezza consente al bambino di poter crescere sviluppando una rappresentazione coesa e alimentare un sufficiente senso di stima verso se stesso. L’aspetto significativo di questo sentimento è la sua esistenza come una sorta di costante sfondo affettivo a tutte le nostre esperienze. Ne abbiamo consapevolezza solamente quando i dati sensoriali non corrispondono alle nostre esperienze e alle nostre aspettative. In questi casi la nostra esperienza è di una riduzione del livello nel sentimento di sicurezza. I traumi, il pericolo e l’angoscia, di qualsiasi origine, possono quindi ridurre il livello di sicurezza, e accompagnare gli stati di angoscia in generale.

Da quanto sono venuto dicendo, la tendenza che abbiamo a riprodurre certi stati o a vivere particolari sensazioni deriva dal bisogno che ognuno di noi ha di riprodurre il proprio ambiente fenomenico (Freud la definiva “coazione a ripetere”) in funzione della necessità di rifornire la propria sicurezza, rispetto ad eventi e situazione che abbiamo una sufficiente prevedibilità e che ci rassicurino per quel che riguarda la nostra capacità di farvi fronte, paradossalmente anche quanto tali eventi siano descrittivamente disadattivi e non sono utili per la persona, o altre volte conducano anche allo sviluppo di dolore o malattie psicologiche.

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Luglio 18, 2016

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